Raramente, Ettore, il mio ex marito, parlava con entusiasmo o ammirazione di un altro maschio, credo di non averglielo mai visto fare. Un ego ipertrofico il suo, perciò ho un vivido ricordo di quando accadde.
Era un sabato mattina, lui era andato in ufficio. Verso mezzodì mi telefonò per avvisarmi che non sarebbe rientrato e avrebbe pranzato fuori con un cliente. Mi sorprese, il sabato mattina era dedicato al riordino della settimana precedente e alla pianificazione della successiva, non ai clienti. Dal tono capii che non poteva dirmi altro.
La cosa non mi dispiacque affatto. Tempo libero per me; me la sarei cavata con un panino.
Quando rientrò dopo alcune ore, seduti in poltrona, davanti ad una tazza di caffè, mi raccontò dell’incontro.
“Non prendi solitamente appuntamenti il sabato mattina”
“Infatti, non l’avevo, la solita routine. Verso le undici un signore calvo, con gli occhi acquosi, garbato e dall’aria distinta ha fatto capolino alla porta, chiedendomi se poteva entrare, non ho potuto che dirgli di si. Non indovineresti mai di chi si tratta…” disse Ettore.
“Non mi hai dato alcun indizio… dai va avanti, non mi va di giocare a fuoco, fuochino e fuocherello.”
“Curiosa eh…”
“Non fare il gigione, continua è facile: ‘soggetto, verbo, complemento’ nell’ordine….” dissi ridacchiando.
“Vabbè” celiò ancora lui che dopo essersi preso uno sberleffo si decise a continuare: “Silverio Scorza, il direttore dell’Arena”
“Ah! Il giornalista?” annuii. “Ha scritto diversi libri sulla massoneria. Ricordo anche la sua candidatura a sindaco. Perché è venuto da noi? Per il giornale?”
“Ecco, è venuto per qualcosa di più semplice: sua moglie sta aprendo una scuola di lingue, dovevano comprare dell’attrezzatura informatica.”
“… e allora lo hai invitato a pranzo?”
Ettore sorrise sornione. “In verità no, per le attrezzature, è stato tutto rapidamente risolto; ha subito fatto l’ordine.”
“E allora perché… il pranzo?”
“Non so come, lui ha iniziato a parlare dei suoi studi, delle sue ricerche sulla massoneria. E’ piuttosto colto. Si è laureato alla Sorbona. Non conosco nessuno al suo livello, pendevo dalle sue labbra, ne ero affascinato; lo saresti anche tu se lo incontrassi.”
Non mancai l’occasione alcune settimane dopo. Silverio venne in ufficio con la moglie, Elisabetta. Avevano bisogno di mouse, memorie esterne e altri accessori. Ettore non c’era e fui io ad occuparmene. Elisabetta era bionda e solare, sprizzava energia da ogni poro. Il viso ospitava un sorriso radioso. Lui mi sembrò cupo, ombroso, con una stretta di mano molliccia.
Diventammo ben presto loro fornitori di fiducia. Erano persone gradevoli, rispettose ed educate. Col tempo, con Elisabetta nacque una sincera amicizia. .Quando, anni dopo, mi decisi a organizzare la mia prima mostra di pittura, li invitai. Elisabetta venne sola e mi spiegò che Silverio aveva avuto un impegno improvviso.
Qualche giorno dopo, Silverio venne a trovarmi. “Perdonami per l’altro giorno, Elisabetta ha trovato molto interessanti i tuoi lavori.”
Lo invitai a sedersi, gli offrii una bibita. Lui sembrava assorto.
“Sono venuto anche per parlarti,” disse improvvisamente, abbassando lo sguardo. Ebbi un istante di esitazione, mi risuonarono in testa le parole di Elisabetta : “…Mi ha tradita con ogni mia amica…”
Silverio alzò la testa e mi guardò negli occhi.“Ti ricordi di Giulia? Alcuni mesi fa siamo venuti per l’acquisto del suo portatile.”
“Difficile dimenticare una donna tanto bella” risposi.
“Pensai la stessa cosa la prima volta che la vidi, ma Giulia è molto di più per me” disse con un’intensità che mi lasciò sbalordita. “E’ il porto dove la mia anima trova pace. Dentro di lei, intorno a lei io mi sento più che appagato, mi sento completo. Un fiore unico il mio sentire per lei. Molte volte ho tradito Elisabetta, ma non ho mai pensato di lasciarla, le altre non erano che intermezzi nella monotonia quotidiana. Il matrimonio non è mai stato messo in discussione. Ho sempre voluto bene a Elisabetta. Ora è diverso, tutto è cambiato. Con Giulia le cose sono andate molto avanti, forse sono sfuggite di mano. Indietro non si torna. Se ti dicessi che me ne sono perdutamente innamorato, ti direi una banalità, persino una menzogna. La verità è che mi sento completo in lei.”
Ero perplessa e forse anche sorpresa da una confidenza tanto intima. Ero amica di Elisabetta, non di Silverio. Riflettei qualche istante. “Perché, lo stai dicendo a me?”
“Perché le sei amica, stalle vicino. Nei prossimi mesi avrà bisogno di conforto, di ascolto, di tutto quanto potrai darle. Giulia ed io andremo a vivere insieme, ormai è deciso.”
Dopo quel colloquio le cose precipitarono. Elisabetta subì un intervento alla testa per un aneurisma. Dopo alcuni mesi morì d’infarto, di crepacuore pensai io.
Non vidi più Silverio. Lo persi di vista. Lui era stato a lungo un cliente della mia azienda, lo era stato per conto della moglie. Con la morte di Elisabetta quel ciclo si era chiuso.
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Anni dopo, un pomeriggio di febbraio, Silverio si affacciò alla porta dell’ufficio. Lui e l’inseparabile ventiquattrore. Mi alzai di scatto, come se una tarantola mi avesse pizzicata, gli andai incontro, quasi lo abbracciai. Ero felice di ritrovarlo. “Che piacere rivederti, qual buon vento?”
“Ho bisogno di un portatile” disse, tentando un sorriso. “Ho ripreso il lavoro all’Arena.”
“Un ritorno di fiamma per il giornalismo? Le tue ricerche sulla massoneria si sono concluse? Ho visto i libri che hai pubblicato, ne ho letti un paio” dissi con malcelato orgoglio.
“Giulia mi ha lasciato,” sussurrò, guardando altrove. “Due mesi fa.”
Lo invitai nel mio ufficio, dove potevamo parlare lontano da orecchie indiscrete.
“Entra” dissi, mentre chiudevo la porta. “Raccontami.”
“E’ successo due mesi fa anche se le avvisaglie c’erano da tempo. E’ entrata nell’ordine delle Clarisse nel monastero di San Leonardo a Montefalco, si è fatta suora di clausura.”
“Caspita! Una scelta estrema. Perché?”
“Era divorata dal senso di colpa per aver lasciato il figlio di pochi anni con il marito per vivere con me. Col passare del tempo il senso di colpa si era ingigantito, non ha più retto, ha deciso di lasciarmi e di andarsene.”
“Non sapevo che fosse sposata e con un figlio. Sembrava una giovane donna priva di legami e forse anche di scrupoli, probabilmente l’ho mal giudicata, le apparenze a volte ingannano. Sapevo solo che era una delle collaboratrici di Elisabetta. Quel giorno, alla mostra, mi dicesti solo che avevi deciso di lasciare lei per Giulia, niente altro, e forse nemmeno io ero interessata a lei, ancor meno alla vostra storia.”
“Già, eravate amiche. Forse, Lavinia, l’acquisto del computer è solo una scusa. Forse avevo solo voglia di parlare con qualcuno che ci conosceva tutti.”
Gli accarezzai la mano. Probabilmente, Giulia, non era l’unica a sentirsi in colpa.
“Come vi eravate conosciuti?” chiesi dopo avergli offerto un tè.
Silverio strinse la tazza con entrambe le mani come a volersele scaldare, si appoggiò allo schienale della sedia e con lo sguardo fisso sul muro alle mie spalle, ritornò indietro nel tempo.
“Ero andato a Venezia per una delle mie ricerche sulla massoneria. L’archivio di stato è una miniera. C’ero andato molte altre volte. Era una fredda giornata autunnale, grigia. Pioveva. Entrai e Giulia era là, china sul computer. Sentendo i miei passi alzò la testa e mi salutò. Avvicinandomi al bancone risposi al saluto. Una bellezza incantevole e piena di grazia la sua, non riuscivo a distogliere lo sguardo. Avrei voluto dire, avrei voluto fare, invece rimasi imbambolato a guardarla. Un’apparizione. Mi chiese in cosa potesse aiutarmi. Cercai di recuperare il contegno, appoggiai la ventiquattrore sul tavolo, la aprii e ne estrassi alcuni documenti; glieli mostrai. Borbottai che mi serviva un approfondimento; il materiale in mio possesso rimandava ad altra documentazione che si trovava nel loro archivio. La guardai di nuovo. Le dissi che non l’avevo mai vista prima, lei rispose che aveva lavorato in un altro settore.
Dopo, ogni scusa era buona per andare a Venezia. Ci andai ogni settimana per mesi. Ogni volta facevo un piccolo passo avanti fino a quando in primavera presi coraggio e la invitai a pranzo. Avevo capito che anche lei provava per me la stessa attrazione e lo stesso interesse che io nutrivo per lei. Una sera accettò di venire da me, in albergo. Con il marito aveva accampato un viaggio di lavoro per poter trascorrere la notte fuori casa. Fu un crescendo che ci portò dove tutti gli amori portano, al desiderio di vedersi più spesso e magari vivere insieme un giorno. Fu in quella prima notte di passione e delirio che mi disse di avere un figlio: Luca di tre anni. Non ne aveva mai parlato. Mi aveva detto di essere sposata, ma non di avere un figlio. Ero scosso, avevo capito che il piccolo sarebbe stato il più grosso ostacolo alla nostra relazione.”
“E’ quasi impossibile per una donna separarsi dai figli in tenera età, per gli uomini è diverso. Per una donna è una scelta rara, dolorosa e insopportabile. Solitamente lei si separa e tiene i figli con se; dopo col tempo entra il nuovo compagno.”
“Nella nostra relazione tutto questo non poteva essere contemplato. Era totalizzante, non c’era tra di noi lo spazio per un bambino. Giulia l’aveva compreso ben prima di me. Ci vollero altri mesi affinché lo capissi anch’io. Quando lo feci pensai che la nostra sarebbe stata una relazione condannata a rimanere nelle camere d’albergo, nei finti viaggi di lavoro; nascosta agli occhi del mondo. Non mi davo pace, non lo accettavo. Spinsi Giulia giorno dopo giorno verso la scelta. Per me era intollerabile vivere lontano da lei, ma anche per lei lo era e su questo feci leva per indurla a scegliere. ‘Incarniamo il mito di Aristofane; le due parti dell’uno completo in se stesso, separate da Zeus, si sono ricomposte in noi’ mi spinsi a dirle un giorno, sapendola sensibile quanto me a certe sollecitazioni. Alla fine lei scelse. Lasciò il figlio al marito per venire a vivere con me.”
“Ho conosciuto Giulia come insegnante e traduttrice di Elisabetta. Ora mi hai detto che lavorava all’archivio di stato a Venezia… non capisco.”
“Il tempo della terra di mezzo, come l’avevamo chiamato. Elisabetta aveva bisogno di una persona con le competenze di Giulia e feci in modo che lei ottenesse l’incarico. Si trattava di un impegno part-time serale talvolta in smart working, che ci consentiva di vederci più spesso, senza sollevare dubbi. Lei continuava la sua vita a Venezia e di tanto in tanto veniva a Verona.
“Elisabetta sapeva del matrimonio e del figlio di Giulia?”
“Qui a Verona nessuno sapeva, era il nostro segreto, mio e di Giulia. Un segreto e una separazione che hanno consumato lei e spezzato il nostro legame” disse Silverio.
“Non le lasciasti scampo”
“Lo so, avrei dovuto capirlo allora, ma ero accecato dalla passione.”
“Con la sua scelta ha voluto castigare se stessa e te, ma ha finito col punire anche il figlio.”
“Diceva che per lei era venuto il tempo dell’espiazione, che doveva pagare il suo debito. Non ha capito, forse non ha voluto, che noi l’avremmo pagato con lei.”
Si alzò, indossò cappotto e cappello, prese la ventiquattrore, mi salutò e se ne andò. Chissà se lo avrei rivisto mi chiesi, mentre il pensiero tornava alla scelta di Giulia che in una sola mossa aveva dato scacco alla regina, al re; scacco matto!
Marziana Monfardini – scritto ottobre 2021
Pubblicato in rete 30 ottobre 2024